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Quando nel 2011 l’ex Ministro del Lavoro Elsa Fornero, mentre annunciava agli italiani in conferenza stampa i sacrifici di una finanziaria «lacrime e sangue», si mise a piangere. L’allora premier Mario Monti le tolse quasi subito la parola, continuando a spiegare in modo lucido e distaccato la Manovra. Come possiamo leggere questo episodio?
Potrebbe essere letto in maniera superficiale, come una forma di svalutazione da parte del premier verso la Ministra, che in quanto espressione di una carica governativa e di potere stava usando un codice di vulnerabilità che nella cultura maschilista e patriarcale viene intesa come perdita di autorevolezza al governo. Oppure potrebbe essere letta come una forma di fuga reattiva: nell’incapacità di empatizzare con la Ministra, mostrando egli stesso il proprio disagio, Monti potrebbe aver vissuto la sua scelta di intervenire come forma di aiuto per alleviare Fornero dal momento di fatica e negando in questo modo il proprio imbarazzo: è abbastanza frequente, infatti, che non sapendo offrire vicinanza emotiva, gli uomini tendano a fare interventi tesi a “risolvere” le situazioni. Ma mi permetta una provocazione che ha lo scopo di far emergere la vera questione: se anche Monti si fosse messo a piangere, che impatto avrebbero avuto le sue lacrime sugli astanti?
Gli uomini non piangono, eppure nella letteratura occidentale non mancano gli esempi di uomini, a volte addirittura di eroi, che piangono: i pianti di Ulisse, quelli di Achille per la morte di Patroclo, quelli di Dante, le lacrime del Werther di Goethe per la sua Lotte. La letteratura può insegnarci qualcosa o forse questo qualcosa ce lo stiamo dimenticando?
In questa domanda c’è una risposta alla provocazione che le ho fatto in precedenza. Le rispondo citando proprio il libro di Penna a pag.45: “Nella cultura classica la virilità passava proprio dalla capacità di condividere le emozioni. Mostrare le proprie emozioni e condividerle era un processo che validava la leadership dell’eroe”. Nel suo libro “Le Lacrime degli Eroi”, lo scrittore Matteo Nucci indaga come nel corso dei secoli la cultura sia passata dall’accettazione e dalla legittimazione delle emozioni maschili (durante la cosiddetta età eroica, quando furono composti i poemi omerici) a una successiva fase in cui gli uomini venivano derisi se manifestavano paura o tristezza. Secondo Nucci durante l’Età di Pericle, vale a dire nel V secolo a.C., questa transizione si era pienamente compiuta, tanto che gli Ateniesi non perdonarono allo statista più grande della Grecia antica di aver pianto al funerale di uno dei suoi figli. Il cambiamento fu effettivamente radicale: se a Ulisse era concesso di piangere per la nostalgia della propria terra, nella seconda metà del V secolo le lacrime non erano contemplate nemmeno di fronte al lutto più devastante, qual è la morte di un figlio. (…) Secondo Platone la possibilità di piangere e manifestare la propria vulnerabilità è concessa solo a uomini eccezionali: bisogna essere eroi, insomma, per avere il permesso di piangere, motivo per cui in tempi “normali” il pianto deve essere bandito. (…) Tommaso Marinetti all’inizio del secolo scorso nel febbraio del 1909 scriveva su Le Figaro: “Noi vogliamo glorificare la guerra, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna”. A noi suonano forse anacronistiche queste parole ma in tanti paesi al mondo non lo sono. E il disprezzo della donna unito all’amore per la guerra e la morte è una sintesi della deriva in cui siamo, ahinoi, molto attuale. Certo che la lettura è maestra nel darci la traccia per ritrovare la via perduta, ma serve una cultura che sostenga le persone a intraprendere questa strada, non basta lasciare all’iniziativa personale dei singoli.
Lei, presso il Centro Divenire, conduce i “Cerchi di uomini”. Di cosa si tratta?
L’idea nasce più di dieci anni fa per dare ai miei pazienti l’opportunità di sentirsi meno soli e avere un punto di vista maschile alle loro problematiche e ai loro smarrimenti in termini di identità. L’idea iniziale non era di condurli io stessa ed infatti avevo chiamato un collega che aveva esperienze di questo tipo a condurre. La sua assenza improvvisa per motivi personali, il giorno stesso in cui era previsto un incontro del gruppo di uomini, mi ha introdotto alla conduzione. Sono stati i partecipanti a chiedermi di condurre e così ho fatto per più di sette anni consecutivi. La presenza di una donna durante la fondazione del gruppo aveva molte valenze, la più importante era di mantenere la connessione con la dimensione interiore che in qualche modo rappresentavo e custodivo rendendo la ricerca più rassicurante. Un gruppo di soli Uomini avrebbe all’inizio identificato nel conduttore una sorta di Maschio Alpha dominante che avrebbe spostato la dimensione a quella tradizionale della competizione e del cameratismo. L’evoluzione del gruppo ha permesso poi il passaggio del testimone ad un collega psicoterapeuta, Claudio Agosti, che conduce il cerchio dal 2019. Cosa succede nel cerchio? Si impara a raccontarsi, a condividere le difficoltà, la disperazione, ad accogliere la vergogna, a piangere insieme, a sviluppare compassione, ad esprimere empatia verso sé stessi e poi verso gli altri, a scoprire e supportare l’emergere di una virilità più reale, unica nella sua espressione, ad essere solidali, più solleciti e attenti gli uni verso gli altri, a percepire il proprio corpo, a permettersi le sfumature. Si parla dei problemi con i figli, con i partner, con i famigliari in genere. Si condividono le preoccupazioni per la propria salute, si attraversano malattie. Insomma, in una parola, ad esistere in quanto esseri Umani ancorché di genere maschile. Nei cerchi si riprende quello che si faceva in passato nel mondo rurale, in cui c’era una condivisione di saperi e di esperienze. Buona parte del gruppo ha costruito legami profondi e si incontra mensilmente da più di dieci anni. Da questa esperienza è nata anche un’Associazione di Padri che si occupa di portare avanti una cultura di paternità consapevole. Perché questo dovrebbe essere lo scopo finale di un gruppo di crescita personale: portare il cambiamento nei propri contesti, perché lo sviluppo dell’uno è uno sviluppo per tutti. Ciò che avviene in questi gruppi dovrebbe essere la normalità verso la quale dirigerci. Veri e propri laboratori di modi nuovi di essere. Per questo motivo il gruppo si è dedicato ad Ulisse e gli Uomini tra di loro si chiamano Ulissi. A tal proposito, ho riflettuto a lungo sul ruolo del femminile nell’Odissea. Omero sembra proprio insegnarci che per passare dall’essere Maschio all’essere Uomo, come poi Jung confermerà molto più avanti, occorre incontrare la propria parte femminile, che Jung chiama Anima. Ulisse esplora ed incontra diversi tipi di femminile prima di tornare da Penelope e donarsi a lei. In questa direzione sto pensando di ritornare a tenere dei gruppi di Uomini che vogliano approfondire questo aspetto. Si chiameranno “Parla con lei”: che la dimensione dialogica uomini e donne sia carente è risaputo. Io credo che questo nasca dal mancato incontro con la propria dimensione Animica per la quale gli uomini trattengono una grande paura. In questa grande transizione verso forme nuove di relazione d’amore, gli uomini non possono più esimersi dal frequentare questi territori sconosciuti. Il viaggio eroico resta sempre lo stesso: Ulisse insegna che per tornare a casa dobbiamo perdere più e più volte l’idea di noi stessi che le aspettative culturali ci hanno cucito addosso.
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