Giovedì 3 ottobre per la rassegna “Perché la storia è sempre più complessa di come ci appare”.
Data Pubblicazione:
27 Settembre 2024
Tempo di Lettura:
5 minutiUltimo Aggiornamento:
5 Ottobre 2024 11:57
Argomenti:
Giovedì 3 ottobre per la rassegna “Perché la storia è sempre più complessa di come ci appare”.
Data Pubblicazione:
27 Settembre 2024
Tempo di Lettura:
5 minutiUltimo Aggiornamento:
5 Ottobre 2024 11:57
Argomenti:
Le elezioni americane sono un evento molto differente da quelle italiane per vari motivi. Ci può indicare un elemento di profonda differenza nelle modalità in cui si svolge una campagna elettorale oltreoceano e una qui da noi e uno invece di influenza delle elezioni USA su quelle in Italia negli ultimi trent’anni?
Penso che l’elemento che fa risaltare maggiormente la diversità tra il processo elettorale statunitense e quello italiano sia il numero dei partiti, e quindi dei candidati, in gioco. Negli Stati Uniti, come sappiamo, nonostante la presenza di partiti minori, i cosiddetti third parties, come The Green Party, la sfida elettorale si gioca tra repubblicani e democratici. Di conseguenza, anche se inizialmente ognuno dei due partiti vede molti candidati partecipare alla campagna, già da prima delle primarie, sia repubblicani che democratici hanno un o una candidata prediletta (quest’anno, Donald Trump e Kamala Harris). Questo sistema bipartitico ha sia uno svantaggio che un vantaggio. Quest’ultimo è rappresentato dal fatto che, per così dire, c’è poca scelta: o si vota democratico o si vota repubblicano, e ci sono anche meno rischi, per i due partiti, di perdere potenziali elettori a causa di alleanze “scomode” con altri partiti più piccoli, come può accadere nel nostro paese. Il potenziale svantaggio è che, proprio perché ci sono solo due partiti, è più facile perdere elettori che non si sentono rappresentati da nessuno dei due schieramenti e che quindi decidono di astenersi. Per quanto riguarda l’influenza che il modello di campagna elettorale statunitense ha avuto su quello italiano, sicuramente si può menzionare il crescente successo, nel nostro paese, di leader carismatici, che puntano a ottenere il voto di cittadine e cittadini con strategie di comunicazione che mettono al centro la persona e la personalità del candidato, più che l’aspetto politico e del programma da attuare. Un altro ambito in cui questa influenza è chiara ed evidente è l’uso dei mezzi di comunicazione, la televisione prima e i social media (specialmente Twitter, ora X) poi, ormai i canali privilegiati tramite cui molte figure politiche si rivolgono al proprio pubblico.
Donald Trump, durante il dibattito con Kamala Harris, ha sostenuto che gli immigrati haitiani di Springfield (Ohio) mangiano cani e gatti. Perché un’affermazione del genere, che definire strampalata è poco? È una precisa strategia o c’è dell’altro?
Sin dalla sua prima discesa in campo nel giugno del 2015, Donald Trump ha costruito il proprio successo e ha ottenuto sempre più seguito grazie al suo modo di comunicare. Trump si è immediatamente distinto dalla concorrenza grazie alla sua esasperata noncuranza nei confronti di stili e regole di comunicazione politica, o almeno di quelli che ci piacerebbe pensare fossero i fondamenti di un discorso politico serio e rispettoso. Trump, sicuramente grazie anche ad abili ghostwriter che si basano di volta in volta sui sentimenti dei cittadini americani, procede con slogan, insulti, luoghi comuni e frasi razziste, che fanno irrimediabilmente colpo sui suoi fan, perché a loro sembra di stare ad ascoltare il vicino di casa xenofobo e rancoroso che però non ha peli sulla lingua e dice le cose come stanno. Ora, il fatto che, in molti casi, queste affermazioni non abbiano un fondamento di verità non ha troppa importanza. Quello che fa presa sul potenziale elettorato non è tanto la pena per i poveri animali domestici rapiti e mangiati, quanto il messaggio politico sottostante, ovvero: espelleremo gli stranieri. Le dichiarazioni strampalate fanno parte del personaggio, qualcuno ci costruisce canzoni di successo, qualcuno ride, qualcuno, pochi spero, gli crede. Il problema è il programma politico etnocentrico e nazionalista ben preciso che fa da base a queste dichiarazioni e che potrebbe venire implementato se Trump fosse nuovamente eletto.
Nel nostro Paese, circola un ragionamento secondo cui se elezioni venissero vinte da Trump, il tycoon troverebbe una soluzione per la pace fra Russia e Ucraina. È così? Non è un ragionamento che pecca di riduzionismo?
Anche se Trump potrebbe avere un approccio diverso da Biden nella gestione delle relazioni internazionali, immaginare che possa risolvere rapidamente il conflitto ignorando le complesse dinamiche geopolitiche sottostanti è sicuramente riduttivo. Anche in questo caso, penso che sia utile ragionare sulla sua retorica e sul discorso politico che lui propone, che si basa quasi esclusivamente sulla ripetizione di slogan di forte impatto e su dichiarazioni che, spesso, non hanno un riscontro nella realtà dei fatti. Tra queste c’è sicuramente il suo ritenersi una figura politica che riuscirebbe, grazie alla sua presenza, a placare conflitti internazionali. Sicuramente è da tenere in considerazione la direzione che JD Vance, aspirante vicepresidente, potrebbe imprimere alle relazioni tra Stati Uniti e Ucraina se Trump venisse eletto. Il senatore dell’Ohio, infatti, ha spesso dichiarato che gli Stati Uniti dovrebbero smettere di sostenere l’Ucraina nel conflitto.
Perché la storia è sempre più complessa di come ci appare
Verso le elezioni americane. Destra o sinistra?
Giovedì 3 ottobre 2024, ore 20.45
Sala Civica “Mimmo Boninelli” di Mozzo (via Orobie)
Ingresso libero fino ad esaurimento posti
Con Jacopo Perazzoli, Paolo Barcella e Chiara Migliori dell'Università degli Studi di Bergamo
#democrazia
Per info:
biblioteca@comune.mozzo.bg.it
035 455 6685
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